Il Mio Milan


Vai ai contenuti

Coppa Campioni 68-69

Le coppe europee

L’Ajax non era grande e non lo conosceva nessuno. Si affacciava allora, nel '69, al grande calcio d'Europa, con molto entusiasmo e molta fiducia ma con pochissima astuzia: di esperienza, già, non ne aveva, era un topolino ingenuo al cospetto del maestoso leone milanista. Si sapeva che aveva un allenatore scorbutico, pretenzioso, sicuro di sé, Rinus Michels: e nelle sue file c'era il Rivera del Nord, Johan Cruijff, il figlio della lavandaia dell'Ajax, che era cresciuto vedendo da vicino, giorno per giorno, i giocatori della maggior squadra d'Olanda, e ci aveva messo, nell'imitarli, la sua rapidità e la sua fantasia. Poi nient'altro, se non che i ruoli degli olandesi erano difficilmente individuabili: la numerazione sulle maglie era diversa da quella in uso in Italia e loro, i giocatori di Amsterdam, se ne andavano a spasso apparentemente senza disciplina per il campo. Era quello il punto di partenza del "calcio totale" che avrebbe reso famoso il calcio d'Olanda, ma allora nessuno lo sapeva .Pareva impossibile che quella squadra, soltanto per il fatto di possedere un Cruijff, fosse arrivata sino alla finale di Madrid del 28 maggio 1969. Il cammino trionfale del Milan in quella Coppa dei campioni, tra l'altro, non era attribuito in genere alla presenza nelle sue file di Gianni Rivera, sempre criticato per la sua scarsa predisposizione al combattimento. Era evidente che gli ostacoli incontrati dai rossoneri sulla loro strada potevano essere superati soltanto grazie a un grande spirito di sacrificio e alla capacità di affrontare la lotta. Tutti o quasi gli elogi andavano dunque alla famosa "Maginot", la linea difensiva di Nereo Rocco, maestro di catenaccio, a Malatrasi e a Rosato, a Schnellinger, Anquilletti e Trapattoni, oltre che naturalmente a Fabio Cudicini, il "ragno nero".Il soprannome Cudicini se l'era guadagnato sui terribili campi britannici, dopo il successo abbastanza agevole (1-2 e 4-1) sui campioni svedesi del Malmoe che aveva aperto il torneo. A Glasgow, turbolenta capitale industriale della Scozia, il Milan era andato in condizioni di grave disagio, dopo uno 0-0 a San Siro che pareva equivalere già a una condanna. Ma lassù Cudicini e la "Maginot" avevano fermato tutti gli attacchi del Celtic e il portiere in particolare, nella sua calzamaglia nera, lungo e tentacolare com'era, era parso ai giornalisti britannici un mostro dietro una ragnatela imperforabile. L'impresa si era poi ripetuta a Manchester, dove il calcio discendeva direttamente dall'epopea: questa volta il Milan aveva sfruttato adeguatamente il fattore-campo, vincendo 2-0 l'andata, ma il compito di resistere all'assalto degli inglesi, incitati dai loro formidabili tifosi, pareva ugualmente assai arduo. E ancora il lungo portiere che Rocco aveva salvato dalla rovina e rigenerato (così come Hamrin, come Sorniani, come Malatrasi) aveva saputo meravigliosamente resistere, incassando un solo gol, quel che bastava per entrare in finale.
"Guai a sottovalutarli tuonava Rocco , altrimenti si perde disicuro". Nel '66 c'era già stata la Corca, non si poteva davvero prendere sottogamba nessuno, nemmeno quegli olandesi sconosciuti. Si andava alla ricerca dei loro punti di forza: oltre a Cruijff, quel Pronk, gigantesco come il barbuto stopper Barry Hulshoff, che aveva l'incarico di neutralizzare Ri vera e la sua ispirazione; e Piet Keizer, attaccante alto e biondo, quasi un esponente della miglior scuola germanica. Con tutta la sua saggezza, però, Nereo Rocco si lasciava andare ad una dichiarazione che poteva essere con serio pregiudizio fraintesa: "Maldera lo inserirò per liberare l'area di lesta solo quando saremo sul 2-0". Era ottimista, dunque, anche lui? Era giusto esserlo, ottimisti, e lo si vide bene la sera della finale. Per quanto logoro nei suoi anziani, stanco a fine campionato, il Milan era di gran lunga la squadra più completa. Ebbe anche fortuna, e seppe sfruttare subilo le incertezze iniziali, il timore reverenziale degli avversari, la loro ingenuità nel buttarsi all'attacco nell'ossessione di un calcio fondato esclusivamente sulla ricerca del gol. Al primo minuto già Pierino Prati sparava contro il palo: doveva esser lui il mattatore della serata. Il Milan giocava rapido e concreto, mentre gli olandesi si perdevano nel tenere la palla con manovre orizzontali, del tutto vuoti di idee di fronte alla compatta linea di fensiva rossonera. Al 7' Sorniani, che era brasiliano ma non velocissimo, superava in dribbling IIulshoff e crossava per Prati, che di testa infilava la palla all'incrocio, dove il portiere olandese Bals non poteva arrivare. Pareva tutto facile, ma l'Ajax reagiva, nella consapevolezza della sconfitta ritrovava energia e decisione: qualcosa non funzionava nel meccanismo collaudato della difesa rossonera (quel Trapattoni costretto a fare il terzino su Swart, che era stato dipinto come un uomo di centrocampo, Anquilletti risucchiato invece indietro da Cruijff, che lo irrideva con la sua inventiva e la sua bravura tecnica) e per mezz'ora si tornava a vedere Cudicini il "ragno nero". Con due parate miracolose il portiere vanificava l'assalto olandese; Rosalo, Malatrasi e Schnellinger resistevano ottimamente e, scambiatisi i compiti, anche Anquilletti e Trapattoni se la cavavano meglio. Soffriva senza vantaggio Rivera, ma davanti, in contropiede, il Milan mancava di poco ancora tre occasioni con Hamrin al 26', con Prati al 32', con Lodetti al 34'. Poi Ri vera aveva un'impennata delle sue: recuperava un pallone nella propria area al 40' e lo portava avanti, per offrirlo a Prati in buona posizione: il Pierino nemmeno questa volta perdonava e
con un gran tiro otteneva il 2-0. La paura era finita, per il Milan. Nel secondo tempo Rocco mise a posto l'ultimo particolare: quel Ri vera doveva essere messo in condizione di soffrire di meno e di dare maggiori preoccupazioni agli avversari imbestialiti, anche se il Milan, era chiaro, avrebbe dovuto giocare in contropiede. Rivera più avanti, dunque, a tenere in apprensione la difesa degli olandesi o a trafiggerli ancora, se non ne avessero voluto tener conto. E il Milan dominò senza più grossi problemi, benché l'Ajax riuscisse al 16' a ridurre le distanze su calcio di rigore con Vasovic. Il rigore non c'era, per la verità: l'intervento difensivo di Indetti su Keizer era stato corretto; ma l'arbitro, Ortiz de Mendibil, spagnolo, era troppo noto come amico degli italiani, non poteva rischiare. Del resto il Milan era padrone della partita.
Si difesero con ordine, con sapienza tattica, gli uomini del "paròn" e in contropiede sorprendevano ogni volta la difesa dell'Ajax sbilanciata. Al 19' sciupava una palla-gol Rivera, un minuto dopo lo imitava Ilamrin. E al 22' veniva il terzo gol, ormai maturo. Faceva tutto Sormani, bravo e spietato come Prati: partiva da centrocampo e dal limite dell'area coglieva di sinistro il bersaglio. Ormai era una festa: arrivavano a concludere, sbagliando, persino Anquillelli e Trapattoni, segno che neppure la "Maginot" doveva più preoccuparsi troppo di stringere le maglie. E Rivera lì davanti trovava l'acuto: scambiava a metà campo con Sormani, poi avanzava in dribbling, evitava il portiere in uscita, aspettava che Prati arrivasse a sua volta e gli offriva un pallonetto da appoggiare di testa in rete. Il trionfo era completo.


FONTE
"LA STORIA DEL MILAN"
FORTE EDITORE



Home Page | Campionato | I campioni | La coppa italia | Le coppe europee | L'Albo d'oro | Contatti | Mappa del sito