Il Mio Milan


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Intercontinentale 1969

Le coppe europee

SUL TETTO DEL MONDO


Gli Estudiantes di La Plata godevano anche in Argentina di una cattiva fama. Eppure tra loro non vi erano soltanto giocatori di scarso cervello e niente cultura aggregati al gruppo per migliorarne il valore calcistico: c'erano studenti veri o ex ragazzi che l'università l'avevano già portata a termine, come il difensore Malbernat, che era medico dentista. O come il dottor Raul Madera, psicologo e traumatologo, che un giorno sarebbe diventato il medico della nazionale argentina campione del mondo; e Carlos Salvador Bilardo, ginecologo e a tempo libero mezzala, soprannominato "Alma mater", che ne sarebbe stato il tecnico trionfante.
La fama degli Kstudiantcs era quella di una squadra di picchiatori scientifici, programmatori della rissa e dell'azzoppamento altrui, al limite della delinquenza. No, non erano ben visti in Argentina, dove ancora si amavano il bel gioco e lo spettacolo e campioni come Pedernera e Di Stefano, Sivori e Angclillo: erano diversi e perché erano diversi vincevano. E la specialità di Bilardo Alma Mater era quella di proteggere i suoi compagni martellando gli avversari. "Per lui – dicevano - le caviglie non esistono". Non per niente gli argentini chiamavano "pungitopi" i loro antipatici campioni nazionali.

A quelli del Milan, che dovevano affrontarli nelle due partite della finale intercontinentale, questi campioni del Sudamerica non parevano cosi detestabili: il dottor Madero suonava il piano come un maestro di musica e tutti avevano l'aria di bravi ragazzi. Inquietanti erano per la verità i due di Tucuman: Medina con quella faccia da indio e Aguirre-Suarez, discendente diretto dei feroci conquistadores. Avevano lo sguardo cattivo, l'aspetto di chi non conosce paura né regole.
Inquietante fu anche la partita d'andata, a San Siro, benché il Milan la concludesse in modo trionfale, con un promettente 3-0. Il risultato significava che il Milan era tecnicamente supcriore ai campioni d'Argentina, o almeno che lo era stato sul suo campo in modo così netto, da rendere minima ogni possibilità di recupero degli avversari in casa loro. Ma il comportamento di costoro era
stato pure assai significativo: la loro tendenza a trasformare la partita di calcio in una bolgia era stata evidente, a dimostrazione anche del loro incontestabile spirito guerriero.
Il primo guerriero, l'ispiratore della battaglia, era Alberto Poletti, il portiere, provocatore diabolico. Era entrato in campo a scaldarsi i muscoli sventolando un drappo nerazzurro dell'Inter e ai fischi aveva risposto con gestacci volgari rivolti al pubblico. Cosicché, all'inizio della partita, quando si disponeva al suo show abituale di una rimessa dal fondo che richiedeva alcuni minuti di finti equivoci e di lentissima preparazione al tiro, un paio di scriteriati gli scagliavano le loro bottigliette
di plastica. Non colpivano né lui né altri, ma Aguirre-Suarez, come ripetendo un copione provato mille volte, si gettava a terra rotolandosi e tenendosi le mani alla testa. L'arbitro francese Machin non ci cascava, ma ormai il clima era incandescente come i terribili Esludiantes volevano.

Cosi, mentre il Milan tentava di far gioco d'attacco, con qualche evidente imbarazzo, va detto, ma allargando bene sulle ali per poi superare nel gioco alto di Sormani e Prati i piccoli della difesa platense, gli argentini spudoratamente picchiavano. "Non fate segnare il traditore “Combin", urlava Poletti. E a Combin, franco-argentino, oltre ai calci riservavano anche pugni e gomitate in faccia. Rivera, tra i più timidi, in quella partita che aveva poco del gioco del calcio, si sentiva perso, non dava quel contributo che era lecito aspettarsi da lui. Soffriva la marcatura asfissiante di Tognori. Anche Combin, scorrettamente marcato da Madero, non riusciva a dare il meglio (era anche reduce
da infortunio): però era suo il secondo gol del Milan, ottenuto su passaggio di Prati e guizzo in serpentina a beffare tutta la difesa. Il 2-0 veniva al 45' del primo tempo, quando il Milan era già in vantaggio dal 7' grazie a Sormani, elevatosi su tutti a schiacciare di testa un cross del solito attivissimo Prati, giusto fra le gambe del portiere Poletti. Nonostante la rissa continua, che impediva lo svilupparsi di un vero gioco, con Rognoni, esile e leggero, dal 64' al posto di Combin, il Milan riusciva a passare ancora, al 25' della ripresa, con un altro gol di Sormani. C'era un fallo di Medina su Rognoni: batteva Rosato verso Fogli, che scodellava in area di rigore; Sormani era il primo ad arrivare sulla palla per scaraventarla con violenza in rete. Due volte sbagliava Rognoni, ma al Milan erano soddisfatti ugualmente: i terribili Estudiantes parevano domati.

I rossoneri andavano in Argentina verso la fine di ottobre (la prima partita si era giocata mercoledì 8) con qualche giustificata preoccupazione: prevedevano che sarebbe stata una dura lotta. Né loro ne altri, neppure forse nel paese dei gauchos, avrebbero però immaginato quel che doveva accadere in realtà: 90 minuti di feroce caccia all'uomo, pugni, gomitate, calci in faccia e alle costole in continuazione, una sorta di premeditata esecuzione nei confronti di Nestor Combin, che aveva il solo torto di essere nato in Argentina e di aver fatto il servizio militare in Francia, dove si trovava come professionista del calcio.
Probabilmente avevano preso dosi massicce di stimolanti: gli "studenti" di La Piala erano già imbestialiti entrando il 22 ottobre nel catino della Bombonera di Buenos Aires, lo stadio del Boca chiesto in prestito per l'occasione. "Paleiti tentò di colpirmi con un calcio - raccontò dopo la partita Rivera - mentre ancora stavamo andando a schierarci al centro del campo, prima che cominciasse l'incontro". Gli episodi scandalosi, che l'arbitro cileno Massaro non era in grado di controllare e punire con la dovuta severità (avrebbe espulso Aguirre-Suarez e Manera soltanto nel secondo tempo, quando ormai la partita era una guerra e Prati era stato portato fuori in barella e il Milan giocava senza Malatrasi, infortunato, con Schnellinger arretrato a fare il "libero"), erano una serie interminabile, che in parte suscitavano lo sdegno degli stessi spettatori bonaerensi. Dalla sua porta Alberto Polelli dava gli ordini, i suoi uomini eseguivano senza pietà. "Porco traditore - urlava a Combin -, ti spacchiamo le gambe prima o poi!". Quel "mona de francès", come lo chiamava Rocco affettuosamente, girava al largo, ma la sua prudenza non era sufficiente: lo inseguivano per il campo, gli sputavano in faccia, ogni contrasto era buono per colpirlo con calci e pugni. Riusciva al 30' a liberarsi della palla servendo Rivera, che s'infilava in corridoio, dribblava il portiere e segnava. Furibondo, Poletti continuava la corsa e andava a colpire di striscio con un pugno Lodetti, che Madero non era riu scito a "giustiziare". Prati, che aveva coraggio, era quello più maltrattato: era a terra e Poletti prendeva a calci il dottor Monti che cercava di rianimarlo; poi il portiere criminale sferrava allo stesso Prati, abbattuto dal suo compare Aguirre-Suarez, un calcio alla schiena. Non era sufficiente: a Pierino, Aguirre dava il colpo di grazia con un tremendo pugno alla tempia. E ancora Rivera, Rosato, Rognoni (subentrato a Prati fra le minacce degli avversari), lo stesso Cudicini facevano le spese della violenza argentina. "Picchiate anche voi - era costretto ad urlare Nereo Rocco, che non credeva ai propri occhi -, se proprio siete costretti a difendervi!". La difesa milanista resisteva all'urto: subiva due gol, di Conigliaro al 43' e di Aguirre-Suarez un minuto dopo, poi chiudeva ogni sbocco ad avversari che non potevano abbinare la lucidità alla grinta. E il Milan conquistava la Coppa.
Alla fine il dottor Scotti e il dottor Monti fornivano il bilancio dell'aggressione subita: Malatrasi, oltre allo stiramento, lamentava contusioni varie al torace; Prati trauma cranico, contusioni alle reni, stato di choc con amnesia; Cudicini ferite lacero-contuse da tacchetti al braccio destro, contusioni al costato, alla gamba sinistra, a una spalla; Rivera un vasto ematoma al torace, ematoma alla gamba destra, contusione alla nuca per un pugno sferratogli da Manera; Combin la sospetta frattura del setto nasale, tumefazione all'occhio sinistro, gonfiore alla guancia sinistra, rilevante ematoma; Rognoni infine aveva ematomi in tutlo il corpo. E non bastava. Sollecitata da qualche zelante patriota, la polizia militare arrestava negli spogliatoi Combin, pesto e sanguinante com'era, per renitenza alla leva e diserzione.
Ma a quel punto il Milan non ci stava più. Avvertiva il presidente del Boca, Armando, scandalizzato
a sua volta da quel che aveva visto. In una notte drammatica, Armando e Carraro si mettevano in contatto col generale Ongania, presidente della Repubblica, che immediatamente dava disposizioni per i provvedimenti del caso.
Tra un equivoco e l'altro Combin poteva raggiungere i compagni, la mattina dopo, soltanto all'aeroporto per rientrare in Italia con loro. Intanto, squalificati subito dalla Confederazione Sudamericana, Poletti, Aguirre-Suarez e Manera, gangsters più che calciatori, venivano tratti in arresto.



FONTE
"LA STORIA DEL MILAN"
FORTE EDITORE

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